Quattro parole con Matteo Sciutteri
L'intervista senza peli sulla lingua al designer di The Breach
Il corsivo
Palworld è un gioco di sopravvivenza e cattura di mostri, a prima vista potrebbe essere etichettato come “copia” dei Pokémon (niente di più sbagliato). È un gioco di sopravvivenza in terza persona che combina elementi di Leggende Pokémon: Arceus, The Legend of Zelda Breath of the Wild, Slime Rancher e altro ancora.
Palworld ha recentemente infranto il record di vendite con 5 milioni di copie vendute al lancio suscitando le reazioni più disparate anche da parte di noti sviluppatore e critici come Sam Barlow, creatore tra gli altri di Immortality e Her Story, e Domini Tarason. Quest’ultimo è stato citato su Twitter da Dinga Bakaba, co fondatore di Arkane Lyon, nella sua lunga risposta in cui ha analizzato il gioco e il suo successo.
Ho provato velocemente il gioco e le prime impressioni sono state molto positive e mi trovo a concordare con Bakaba che ha fatto un'analisi dettagliata su Palworld, citando il tweet di Dominic Tarason che esprimeva sorpresa per l'escalation rapida del dibattito sul gioco, incluso l'effetto che ha avuto sui suoi follower. Bakaba ha approfondito vari aspetti di Palworld, sottolineando come il gioco non sia un semplice clone di Pokémon, ma piuttosto un ibrido innovativo che trae ispirazione da diversi giochi popolari come Ark, Rust, BOTW, Elden Ring, Minecraft e Fortnite. Ha difeso il gioco dalle accuse di pigrizia nel design, evidenziando le sfide e l'originalità nello sviluppo di un titolo che combina con successo elementi di diversi generi. Bakaba ha anche toccato il tema dell'umorismo e del design artistico di Palworld, difendendo il suo approccio parodistico e il suo uso creativo di elementi familiari. Inoltre, ha espresso scetticismo sulle accuse riguardo all'uso di intelligenza artificiale nello sviluppo del gioco, invitando a una maggiore cautela prima di fare tali affermazioni. Conclude sottolineando l'importanza di valutare i giochi basandosi sui gusti personali e incoraggiando la tolleranza e la diversità nelle preferenze ludiche.
Buona lettura,
Lorenzo.
Dialoghi Digitali: intervista a Matteo Sciutteri
In questo numero apriamo la nuova rubrica “Dialoghi Digitali” e il primo ospite ad avere l’onore e l’ònere è il gentilissimo Matteo Sciutteri, game designer veterano dell’industria dei videogiochi e dei giochi di ruolo da più di 20 anni. Fondatore della comunità Rpgmaker.it, Matteo ha giocato un ruolo cruciale nello sviluppo della scena indie italiana, insegnando agli aspiranti sviluppatori come creare e distribuire i propri giochi online già nel lontano 2000.
Ha lavorato come Lead Designer in Artematica e Head of Design in Milestone per 8 anni. Nel 2018 ha fondato RuneHeads e, dopo averla lasciata, nel 2022 è stato Creative Director in Bad Seed.
Negli ultimi 12 anni, Matteo ha lavorato anche come consulente per le maggiori realtà italiane del settore, e nella sua carriera ha pubblicato più di 40 giochi su tutte le piattaforme (pc, console e mobile).
Oltre a essere un prolifico creatore, condivide la sua vasta conoscenza attraverso articoli e tutorial per piattaforme come GameDev Tuts+, Eurogamer e Medium, ed è un apprezzato docente e trainer.
Negli ultimi anni ha iniziato a scrivere e pubblicare giochi di ruolo in maniera indipendente, sotto l’etichetta TinyPumpkins, collaborando con editori italiani e internazionali anche in qualità di traduttore, revisore, graphic designer e design consultant.
Le sue ultime opere sono Bloodstone e The Breach.
IG: Matteo, la tua carriera è stata incredibilmente variegata e hai ricoperto molti ruoli diversi nell'industria dei giochi. Quali esperienze ritieni siano state fondamentali per la tua crescita professionale e come hanno influenzato il tuo approccio al design di giochi come "The Breach"?
MS: Ci sono almeno tre momenti chiave nella mia carriera che mi hanno insegnato delle cose fondamentali e sulle quali ho costruito il percorso fatto fino a qui. Prima ancora di entrare nell’industria dei videogiochi, ho lavorato qualche anno in uno studio di architettura. Un mio ex collega, Giovanni, è riuscito a trasmettermi concetti che ritengo alla base del mio modo di lavorare (precisione, puntualità, l’importanza che do al rispettare le deadline, ecc). Prima di incontrare Giovanni ero un ragazzino che si era improvvisato disegnatore tecnico. Dopo, sono diventato una persona capace di lavorare, anche e soprattutto in autonomia, raggiungendo gli obiettivi. Gli altri due momenti sono stati i primi anni in Artematica e in Milestone, dove ho imparato la complessità di lavorare a un prodotto con l’obiettivo di metterlo sul mercato (che è una cosa diversa dal semplice “lavorare a un progetto”), e infine quando ho incontrato i giochi di John Harper (AGON fra i più conosciuti, NdR), uno dei più brillanti designer di giochi di ruolo. The Breach, nello specifico, incorpora tantissimo della filosofia dei suoi giochi all’interno delle regole.
Fondare la comunità di Rpgmaker.it nel 2000 sembra essere stato un passo pionieristico verso lo sviluppo indie in Italia. Cosa ti ha spinto a creare questa comunità e come pensi che abbia influenzato il panorama degli sviluppatori indie in Italia?
Volevo fare un gioco su Dragon Ball :D In quel periodo lavoravo come muratore (ancora prima di entrare nello studio di architettura) e nel tempo libero volevo a tutti i costi fare un gioco. Non sapendo davvero da che parte iniziare, ho provato a cercare online (con una connessione lenta e ballerina, e per di più con solo 10 ore al mese a disposizione - ah, sono vecchio per davvero), e ho trovato un software chiamato “RpgMaker 95”. E mi ha aperto un mondo - letteralmente: ho iniziato a frequentare un po’ di forum e comunità online, scoprendo che c’erano altri appassionati come me che volevano fare “giochi”. Da lì, il percorso è stato quasi naturale - un po’ per il desiderio di fare le cose “come volevo io”, un po’ perché in quel periodo i flame e le discussioni infinite portavano a scindere le community ogni 2-3 mesi, a un certo punto ho pensato di aprirne una da zero ed è nato Rpgmaker.it , il cui vanto era, soprattutto, il poter distribuire (totalmente senza licenza :D), la nuova versione del software (rpgmaker 2000), tradotta in italiano (da me, editando in esadecimale il file eseguibile). È stato un periodo interessante, anche se sia io che tutti i membri della community eravamo giovanissimi e non avevamo davvero idea di cosa stessimo facendo. Per dire: era un mondo in cui facevi le cose e non monetizzavi nulla (non avevamo neppure un banner pubblicitario). Lo facevi perché ti piaceva l’idea di condividere.
The Breach nasce dal mio amore per Brazil, per la sua estetica e le sue atmosfere.
Dopo aver lavorato a lungo nel mondo dei videogiochi, cosa ti ha ispirato a fare il salto nel design di giochi di ruolo come "The Breach"? Quali sono le sfide e le soddisfazioni uniche di lavorare in questo genere?
In realtà io sono partito dai giochi di ruolo e giochi da tavolo - perché da giovanissimo non avevo nè gli strumenti nè la conoscenza per fare un videogioco. Il mio primo gioco di ruolo è stato pubblicato online (sempre gratis, che nell’internet 1.0 ci faceva scrifo guadagnare eh) nel 1998 da Roberto di Meglio sul sito che curava all’epoca (Roberto è un colosso dell’industria, uno di quelli che qui in Italia ha fatto la storia.). Però, appunto, era un hobby che poi è stato fagocitato da altro - soprattutto dall’inizio della carriera nel mondo dei videogiochi. Sono tornato ai giochi di ruolo durante la pandemia, quando dopo anni ho avuto l’occasione di tornare a giocare con gli amici di una volta, online. Riavvicinandomi all’hobby ho scoperto tantissime cose del passato (che mi ero perso) e mi sono messo a studiare, soprattutto per curiosità, leggendo e giocando più di 200 giorni durante l’anno della pandemia. E alla fine mi sono detto “dai, provo a fare qualcosa anche io”, mettendo online piccoli giochi, spesso gratuiti. Gioco dopo gioco, ho alzato il tiro fino a pubblicare The Breach che ha portato Need Games a suonare alla mia porta per propormi un contratto.
"The Breach" ha un contesto narrativo intrigante e meccaniche di gioco innovative. Puoi parlare del processo creativo dietro lo sviluppo di questo gioco? Quali sono state le tue principali fonti di ispirazione?
The Breach nasce dal mio amore per Brazil (grandissimo film di Terry Gilliam, NdR), per la sua estetica e le sue atmosfere. Credo sia uno dei film che hanno influenzato di più il mio immaginario: questo retrofuturismo un po’ sporco e over-burocraticizzato… lo trovo fantastico. Era un po’ che non lavoravo a un gioco, e un mio amico (René-Pier), aveva lanciato una game jam dove sfidava la community a creare un gioco in 7 giorni usando come base un sistema di regole contenute in due pagine (il Breathless system). In quei giorni ero davvero sotto stress: stavo per traslocare. Per cui mi sono detto “perché non aggiungere altro stress e smettere di dormire completamente?”. E così in sette giorni ho scritto 100 pagine di gioco e l’ho pubblicato. Non era perfetto (e infatti per l’edizione di Need Games abbiamo lavorato per sistemare le sbavature e aggiungere un’intera sezione mancante), ma mi ha dato davvero ottime soddisfazioni.
In qualità di docente e trainer, quali consigli daresti a chi aspira a intraprendere una carriera nel game design? Quali competenze ritieni siano essenziali in questo campo?
Se vuoi fare il game designer, se vuoi fare giochi, devi fare giochi. Oggi non c’è davvero nessun ostacolo che impedisca a un* ragazz* di fare un gioco - che sia un video gioco o un gioco da tavolo. Quando facevo colloqui o quando inizio un corso con studenti nuovi, la mia domanda è sempre una: “e così vuoi fare il game designer? Ottimo: quali giochi hai fatto?”. Attenzione: non sto parlando degli “apprendisti con esperienza” - non si tratta di questo. Ma per fare il game designer, che è un lavoro difficile e spesso pieno di sacrifici, devi avere un drive interno, una passione altissima. Che dovrebbe spingerti a volere fare giochi INDIPENDENTEMENTE dall’essere o meno all’interno di un team o un’azienda. Inoltre, come game designer devi interessarti di tantissime cose - non solo di giochi. Per questo motivo ho creato questo: https://docs.google.com/spreadsheets/d/1OoEyA_ppVeLLtnfb4i4PRnN-i4wmq0IU3-F4SGoMfIo/edit?usp=drive_web&ouid=117641754711629325878 (anche se è qualche mese che non ho tempo di aggiornarlo).
Secondo te, quali sono le tendenze emergenti nel game design che potrebbero plasmare il futuro dell'industria dei giochi?
Purtroppo delle mezze porcherie spinte dal concetto di “facciamo le cose con l’AI”. Non fraintendermi, io sono convinto che strumenti simili (al netto dei problemi di copyright che VANNO sistemati - se usi una mia cosa, mi devi pagare. Punto.), ma ormai conosco molto bene questo mercato per sapere che ci sono delle “mode” spinte da aziende, finanziatori e stampa che arrivano, abbagliano per un po’ senza davvero avere senso, e poi rimangono in battuta minore come uno dei tasselli dell’evoluzione. Pensa all’HDR: c’è stato un momento, attorno al 2008, dove “HDR” era la parola più usata da tutti - se non avevi l’HDR nel tuo gioco non valeva nulla (così, a caso, senza nessun senso). Qualche anno fa la parola era “Raytracing”. Vuoi fare un platform in pixel art minimalista? Eh ma se non ci metti il raytracing non ti da soldi nessuno. Insomma: cose che hanno senso che però vengono usate più per marketing che per reale necessità in molti casi. Brace yourself: il prossimo sarà “dialoghi procedurali” o un’etichetta pìù cool per indicare questo. Arriverà, nel 90% dei casi sarà inutile, e poi rimarrà come UNA delle cose che puoi fare quando progetti un gioco SE davvero ti può essere utile.
Hai qualche nuovo progetto in cantiere di cui puoi parlare? Cosa possiamo aspettarci da Matteo Sciutteri nei prossimi anni?
Troppi :D (no, davvero, davvero troppi - qualcuno lo dovrò posticipare per forza). A parte fare da consulente o dare una mano a qualche amico con dei progetti più piccoli, sto lavorando a 3 giochi di ruolo da tavolo (tra cui l’espansione di The Breach che Need Games ha già inserito nei “giochi in cantiere”, per cui posso citarla esplicitamente) e 2 videogiochi - uno è un gioco educativo su un tema a me molto caro (l’inquinamento marittimo) e uno invece è troppo presto perché io possa anche solo accennarne un dettaglio (anche perché potrebbe cambiare ancora davvero tutto durante la preproduzione). Diciamo che 2024 e 2025 potrebbero essere anni interessanti, ma di sicuro stancanti.
Hai pubblicato da poco un articolo su Medium (che potete trovare a questo link). Nel tuo articolo, hai discusso in dettaglio le cause e le implicazioni dei recenti licenziamenti nell'industria dei videogiochi. Come pensi che questa situazione influenzerà il futuro a medio e lungo termine dell'industria?
Eh, è un po’ una situazione di merda. Non credo che migliorerà nei prossimi 12-18 mesi. Chiaramente, a un certo punto la situazione si stabilizzerà: l’industria di per sè genera tanti profitti, per cui le cose si sistemeranno. Alcuni di quelli che hanno perso il lavoro creeranno nuove realtà e magari riusciranno a creare titoli interessanti. Di sicuro molti si sono scottati e sono finiti in situazioni davvero brutte e tragiche.
La tua analisi evidenzia una forte critica al capitalismo e alle sue conseguenze nell'industria dei videogiochi. Secondo te, quali dovrebbero essere i principi etici guida per le aziende del settore per evitare scenari simili in futuro?
Non credo esistano in sede alle aziende (dove per aziende parlo di grandi multinazionali). Però in molte nazioni finalmente gli sviluppatori si stanno organizzando in gruppi sindacalistici che è il primo passo per poter aprire un dialogo e gettare le basi per trovare un modo di affrontare queste situazioni in modo diverso in futuro.
Come credi che questi licenziamenti abbiano impattato il morale e la motivazione dei professionisti rimasti nell'industria? Vedi un potenziale per un cambiamento positivo nato da questa crisi?
Un poeta mio compaesano un tempo cantava: dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori. E questa è proprio una situazione di merda - per cui, cercando di pensare positivo, sono sicuro che qualcosa di buono nascerà (i movimenti di cui parlavo sopra, per esempio).
Qual è il ruolo che la comunità degli sviluppatori di giochi, soprattutto quella indie, può giocare nel creare un ambiente più stabile e sostenibile per i professionisti del settore?
Sono un grande fan del sistema applicato da Motion Twin, gli sviluppatori di Dead Cells - che si auto definiscono “cooperativa di lavoratori anarco-sindacalista con parità di salario e potere decisionale tra i suoi membri”. Chiaramente funziona bene come impostazione se sei in pochi. Ma io sono un fan dei team piccoli. I miei giochi preferiti sono tutti fatti da team di dimensioni ridotte o medie, per cui nel mio mondo dei sogni questa è una possibile via da percorrere.
Credi che i licenziamenti e le questioni etiche correlate influenzino le scelte dei consumatori? Come pensi che le tendenze del mercato dei videogiochi si evolveranno in risposta a queste dinamiche?
Al mercato e ai consumatori queste cose non interessanto - giustamente, per certi versi. È un po’ come quando lanci un gioco pieno di bug e dici “ehi, scusate, c’avevo judo e non li ho potuti fixare”… ai giocatori non interessa, loro guardano il prodotto finito. Però, io sono anche un fan dell’educare il proprio target, raccontando le cose come stanno e spiegando certi processi. E questo può aiutare a rendersi conto di certe situazioni e certe scelte - per esempio, finalmente anche tra i giocatori c’è una certa sensibilità sul problema del crunch e se adesso dici “scusate, vorrei rimandare l’uscita per sistemarlo bene e non voglio dormire 3 ore a notte e trascurare la mia famiglia per settimane” vedi risposte come “fai bene, prenditi il tempo che serve”. 10 anni fa era impensabile perché il problema era interno all’industria e nessuno lo raccontava verso l’esterno. Ecco - questa è un’industria che ha spesso paura di mettersi a nudo, di mostrarsi per quella che è (anche in questo atteggiamento io vedo la colpa delle grosse aziende, perché i piccoli indie di solito sono molto più trasparenti). Una cosa bellissima che facciamo nel mondo dei giochi di ruolo indie è condividere in maniera trasparente tra di noi E con i giocatori molte informazioni (copie vendute, fatturato, problemi, processi, ecc). È che l’industria dei giochi AAA se la mena un po’, ha un po’ la puzza sotto il naso.
Ringrazio Matteo per la grandissima disponibilità e per la celerità nello spedirmi le risposte alle mie domande.
Ho due consigli per voi, il primo è quello di andare a comprare immediatamente The Breach perché non solo è un bel gioco di ruolo con un’ambientazione incredibile ma ha delle bellissime illustrazioni. Il secondo è quello di seguire Matteo su Itch.io e Twitter (X!) per rimanere aggiornati su i suoi prossimi giochi.